martedì 22 maggio 2012

ARTE E CONVIVIALITÀ DEL PAESAGGIO



La geografia antropica è notoriamente attenta al rapporto fra territorio e spirito dei luoghi, sintesi potente del bisogno di qualità della vita, declinata in paradigmi che fanno cogliere i legami più intimi del soggetto con l’ambiente. Così che l’idea del paesaggio giustamente esalta, accanto a quella culturale, l’intensità sensoriale dell’adesione agli spazi vissuti. Essere abitanti di un luogo, essere parte di una comunità identificabile grazie al sedimentarsi di significati socialmente condivisi viene evocato da due termini accomunati dalla stessa radice: convivenza e convivialità, fattori di costruzione e di mantenimento dell’identità, elementi del quotidiano che rafforza il radicamento, intersecati con le complesse dinamiche culturali che rivalutano le tradizioni nell’odierno contesto della globalizzazione.
E appunto le porcellane di Doriana Cei tracciano, o meglio ricreano per immagini, una summa del territorio veneto, dal suo elevarsi prealpino e dolomitico all’infinito orizzonte adriatico aperto alle rotte d’oriente. Soffermandosi sui contesti più suggestivi, spesso purtroppo offuscati dalle abnormi trasformazioni socio-economiche e urbanistiche, la cui integrità e leggibilità merita perciò particolare tutela. Un corredo da tavola, il suo, degno di indimenticabili occasioni speciali. Un ‘trionfo da mensa’ variato in tutte le componenti e realizzato con certosina applicazione, impreziosito dall’unicità dei pezzi e dalla tecnica smagliante, frutto di studio, passione e creatività. Sintesi efficace del rapporto fra formazione ed espressività dell’artista, che in ogni veduta unisce la ricerca estetica a quella storica e socio-culturale, trasformando i soggetti in panorami dell’anima. La scelta di raffigurare in porcellana le matrici regionali nasce dall’intento di coniugare la sapienza artigianale all’immortalità dell’arte, la ricercatezza estetica all’oggetto di uso comune, la visione originale alla tradizione locale. Il risultato costituisce un raffinato compendio della terra ritrovata, connotata nei secoli ma anche rispecchiata nell’oggi. La raccolta è pervasa da un ‘saper vedere’ il passato senza trascurare il presente, con richiami - ad esempio - alla tradizione gastronomica o ad elementi insoliti ma altrettanto calzanti, quali un capannone industriale o un vigneto ‘alla Bellussi’, tipica tecnica di impianto locale.
Qualche esempio? Le province, le ‘sette perle’ che incastonano il Veneto, sono ritratte tanto nei capoluoghi quanto negli hinterland. Ecco Venezia, emblematizzata dalla Basilica di San Marco e dalle cupole della Salute, o dal Ghetto ebraico, integrata da vedute di terraferma come quelle di Portogruaro e Concordia Sagittaria. Ecco Padova con la Basilica del Santo e i casoni rurali della Bassa; ecco Verona con l’Arena romana e uno scorcio di affresco del Pisanello interno alla Basilica di Santa Anastasia, Malcesine sul Lago di Garda e Villa Bertoldi a Negrar; e poi Vicenza con la Basilica del Palladio e le splendide dimore del circondario; Rovigo e Adria con la celebre villa Badoera di Fratta Polesine, il Po e il suo Delta; Belluno col Palazzo dei Rettori e Agordo con Palazzo Manzoni, Feltre e le Dolomiti. A far la parte del leone è la Marca Gioiosa con le numerose rivisitazioni di Treviso e dei centri minori (Asolo, Castelfranco Veneto, Follina, Conegliano, Oderzo, Motta di Livenza, Portobuffolè), coi quali Doriana Cei ha intessuto lunga consuetudine. Qui specialmente entra in gioco la tempra dell’artista, capace d’intrecciare la propria avventura umana con quella della sua terra e della sua gente, e di rinsaldare il patto di fedeltà con le proprie contrade.
Giova a dare l’idea della singolarità e del valore della raccolta - difficilmente stimabile, anche in termini di realizzazione temporale - una sottolineatura tecnica: si tratta di graffiti realizzati ‘a pennino’, disegni di gusto miniaturista campiti in verdi monocromie, movimentate da delicate sfumature tonali. Dell’artista già conoscevamo le maioliche riproponenti soggetti celebri, le ceramiche con le nature morte e le scene di movimento, le porcellane decorate nella tradizione di Herend e Meissen o con tecniche nelle quali, a traghettare l’immagine verso l’icona, compaiono l’oro e il marmo. Ma le sue doti figurative, strutturate attraverso un sodo percorso culturale e laboratoriale, attingono esiti notevoli in questo corpus che definire ‘servizio da tavola’ sarebbe decisamente riduttivo. Più appropriata, piuttosto, l’immagine di un mosaico gioioso o quella di un morbido arazzo, composti con la trama unica e irripetibile del paesaggio. Un effluvio visivo che, mentre appaga i sensi e rasserena l’anima, evoca i tratti di una convivialità intrisa di sapienzialità e ricordi, di sentimenti e costumi, tale da ravvivare il senso dello ‘stare insieme’ nell’autenticità dell’incontro.
Oltre al piacere estetico, pertanto, le porcellane di Doriana Cei offrono più di un messaggio e di un monito: non ultimo, quello che non basta possedere un patrimonio prezioso senza la consapevolezza di custodirlo e l’impegno di tramandarlo. Se, anche grazie all’arte, le generazioni ricordano e i giovani sanno, si può ancora aver fiducia in un futuro rischiarato dalla bellezza e dalla poesia, ingredienti irrinunciabili della crescita della persona e della comunità.


Giuliano Simionato

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